Recensione: Il grande Gatsby
Capolavoro della letteratura americana, "Il grande Gatsby" continua ad affascinare. Mistero, atmosfera e il giusto mix tra romanticismo e dramma sono gli elementi che ne fanno un romanzo indiscutibilmente affascinante ancora oggi.
Perfetta la caratterizzazione dei personaggi; primo tra tutti, Nick, narratore testimone delle vicende.
Egli è il narratore ideale, prototipo dell'uomo che sa osservare, sa ascoltare senza giudicare e tuttavia, da subito affascinato da Gatsby ci guida verso una sempre più palese condanna del mondo ipocrita che circonda il protagonista.
Jay Gatsby è l'uomo del mistero: su di lui girano sospetti, dicerie ma c'è qualcosa di irresistibile e ipnotico nel modo in cui viene presentato. E' lo stesso Gatsby, a un certo punto a svelare il mistero intorno alla sua identità, a rivelare il suo passato. Egli è l'uomo che incarna il sogno, il sogno americano, quello di chi riesce a risalire i gradini della scala sociale. Egli fa di un sogno la sua vita, costruisce la sua identità in base a quello e ne rivendica l'assoluta realtà.
L'amore per Daisy, la volontà di far rivivere il passato o meglio di reinventarsi un passato in cui il presente non esiste è ciò che rende Gatsby il " grande" gigante, costretto a fare i conti con una realtà di solitudine e abbandoni; il gigante, inevitabilmente, destinato a cadere tra ipocrisie e pochezza.
Daisy è donna schiacciata dalla realtà; infelice, tradita dal marito, non sa rinunciare a un mondo che è, sì illusorio, come quello di Gatsby, e tuttavia è vuoto e falso. E poi c'è Tom Buchanan, marito di Daisy con la sua gagliarda vitalità e la sua vile esistenza. E questo mondo falsamente pieno, accattivante, fatto di soldi, feste, drink, amici, questo mondo falsamente gaio, elegante, prospero è l'America degli anni 30. Un mondo e un mito, quello del sogno americano, che viene smontato e svuotato di valore.
Fitzgerald ha una grande capacità di costruire la storia e lo fa servendosi di un sapiente impianto cinematografico: scene che si susseguono in un crescendo avvincente fino al climax finale, nella camera d'albergo di un' asfissiante New York; è lì, che crolla il sogno di Gatsby; è lì che il suo mondo immaginifico si scontra con il mondo reale ma vuoto dei presenti per precipitare, attraverso una parabola discendente, alla risoluzione finale, tragica e immobile.
A un impianto narrativo solido, ai personaggi indubbiamente fascinosi si aggiunge una sapienza stilistica esemplare. La prosa di Fitzgerald è altisonante, sicuramente lontana ormai dalla semplicità stilistica richiesta dalla contemporaneità, eppure, seppure in alcuni momenti si lasci andare alla pretensiosità o a qualche eccesso melenso, è prosa preziosa, un gioiello dell'ingegno umano. La sua prosa ha un tocco quasi impressionista, poche pennellate per rappresentare non la realtà ma quasi a suggerirla, a rivelare e suscitare impressioni; quadro dalle atmosfere rarefatte e indefinite, dai bagliori improvvisi e fastosi e una fioca luce verde che si spegne nella nebbia.
Commenti
Posta un commento